тюльпанов.
*Скопоне научный (scopone scientifico) - карточная игра, эволюционировавший вид игры скопа (scopa), в которой роль удачи минимизирована.
P.S. Игроков в скопоне прошу дать консультацию по переводу игровых терминов.
Il mago dei tulipani
Pubblicato da baribal il Dom, 23/01/2011 - 20:17
In paese tutti parlavano del giardino accanto alla vecchia casa del "foresto".
A dire il vero, era impossibile ignorare la splendida fioritura di tulipani che si era prolungata da Febbraio a Giugno inoltrato.
Il creatore di quella piccola opera d’arte, "il foresto", era un vecchio alto, magro, dai capelli quasi trasparenti e dal sorriso allegro. La sua età poteva essere tra i settanta e gli ottanta, comunque molto ben portati. Parlava un italiano venato da caldi accenti spagnoli e da suoni duri, attribuiti a quella terra di tulipani rivelata nel suo nome: Theo van Brulen.
Era comparso l’anno prima, e il suo arrivo in un paesino di poche anime, fuori dalle grandi rotte turistiche anche se affacciato alto sul mare, aveva destato una grande curiosità.
La comunità si chiedeva chi fosse quel vecchio, da dove arrivasse e perché avesse scelto di vivere in casa loro, visto che da moltissimi anni nessuno era venuto da fuori a rinsanguare una popolazione che si andava sempre più assottigliando.
Naturalmente il forestiero, anzi, "il foresto" come si diceva da quelle parti, non aveva avuto difficoltà nel trovare e acquistare una delle molte case lasciate da anziani contadini a giovani figli ansiosi di andare a vivere altrove. Troppo dura e povera, la vita di agricoltore in quelle fasce ripide e impoverite dal sale portato dallo scirocco.
In poco tempo la vecchia casa fu sistemata da artigiani dei dintorni, senza lussi ma senza lesinare su quanto necessario a renderla accogliente e dotata di tutto quel poco che poteva rendere gradevole il soggiorno a un anziano di abitudini semplici.
Ma di quello che era stato l’orto, invaso da erbacce e arbusti, il vecchio se ne era occupato di persona, con un'energia insospettabile in un uomo di quella età.
Sino all’inizio della fioritura, in Febbraio, nessuno aveva sospettato che cosa fosse diventato quel piccolo pezzo di terra.
Ma " il foresto" non trascorreva tutto il suo tempo a lavorare nel giardino. Anzi, in poche settimane, grazie alla sua semplice cordialità e alla sua generosità nell’offrire da bere nel bar sulla piazza, si era fatto una cerchia di conoscenti, i quali lo avevano iniziato ai misteri dello scopone scientifico.
Con alcuni era nata qualcosa di più, l'assidua frequentazione si era trasformata in una vera e propria amicizia.
Nella cerchia c’era Riccardo, che oltre a essere un simpatico ometto grassoccio sulla cinquantina, era il postino del paese. Si sussurrava che, a volte, per soddisfare la sua grande curiosità, aprisse le lettere prima di consegnarle. Di fatto sembrava sempre sapere tutto di tutti ed era considerato il pettegolo della comunità.
Un altro amico si chiamava Giuseppe, Beppe per tutti, e di mestiere faceva il pensionato di lungo corso. Per qualche assurda ma assolutamente legale scappatoia statale, era riuscito ad andare in pensione all'età di quarant’anni, e da oltre venti campava allegramente di questa elargizione. Non si era mai sposato, ma tutti sapevano cosa fossero le periodiche visite che faceva in una certa casa della città vicina, del resto Beppe non ne faceva molto mistero.
Ma un rapporto particolarmente stretto sembrava essere nato con Fabrizio Modena, detto Aronne per il suo aspetto ascetico e la barba biblica, ma non solamente.
Era un vecchietto segaligno, dagli occhi scavati, tornato in paese dopo la fine della guerra con un numero tatuato sul braccio sinistro e la morte dentro, nei recessi della sua mente, da dove ogni tanto riaffiorava. Quando accadeva, lui restava assente per lunghi minuti, lo sguardo fisso alle carte che non vedeva, la mente che si arrotolava nel passato. Gli altri avevano imparato ad aspettare, pazienti, sino a quando Aronne tornava tra loro, senza dare segno di essersi accorto della propria assenza. In quelle circostanze, Theo mostrava molta attenzione e rispetto, mentre una strana luce compariva nei suoi occhi celesti. A tutti sembrava uno sguardo di comprensione e di umana pietà.
Theo parlava poco, e pochissimo di sé stesso, ma giocava bene e beveva con piacere, senza mai esagerare. Piano piano, tra un bicchiere di nostralino bianco e un boccale di birra, lasciò affiorare la storia di una fuga nell’America del sud durante la guerra, di un lavoro di piccolo imprenditore e della decisione di finire i suoi giorni in Italia, per soddisfare un’antica passione per l’arte.
- Voi non vi rendete conto della fortuna che avete a vivere in questo Paese, che ha dato al mondo un patrimonio ineguagliabile - ripeteva a volte nelle chiacchierate serali.
Quella sua passione lo portava spesso, nei fine settimana, a salire sulla sua utilitaria per visitare città d’arte e musei, e quando ritornava raccontava agli amici cosa aveva visto, usando un linguaggio semplice, perché l’unico vero intenditore d’arte era lui. Ma aveva il dono di sapere come non farlo pesare.
- Ieri sono stato agli Uffizi - diceva laconico, sparigliando un sette.
- Ma c’eri già stato il mese scorso - obiettava Riccardo.
- L’altra volta avevo visitato la sala del Botticelli, ieri mi sono fermato tutto il giorno in quella dei fiamminghi - rispondeva Theo facendo una buona presa di ori.
- Sapete, Rubens, Van Dyck e molti altri, sono comunque debitori in un modo o nell’altro della vostra arte, di quella veneziana in particolare - e calava trionfalmente il settebello per assicurarselo con l’ultima presa da mazziere.
In capo a pochi mesi e dopo molte partite di scopone, c’era stata la fioritura. Tulipani e solo tulipani.
I disegni erano tracciati dalle tonalità di colore dei fiori, tinte sfumate o vivide, compatte o screziate, ma accostate con perizia e sensibilità fuori del comune. Si fondevano con le luci e le ombre naturali del giardino e si intonavano perfettamente col paesaggio circostante. Ma la cosa che più colpì i compaesani fu che, col passare delle settimane, anche i colori cambiavano, diventando più accesi col progredire della stagione verso la primavera e l’estate. L’effetto era stato giudicato magnifico e presto tutti in paese dimenticarono il vecchio appellativo non particolarmente gentile di "foresto" e si riferirono a Theo chiamandolo, in tono ammirato, "il mago dei tulipani”.
Venne l’autunno e si preparava una seconda fioritura, già annunciata dai grossi boccioli ansiosi di mostrare i loro colori.
Una sera gli amici attesero Theo al bar per la consueta partita ma, passata mezz’ora senza che lui si fosse fatto vivo, cominciarono a preoccuparsi. La sua puntualità era proverbiale, quindi Riccardo e Beppe decisero di andare a vedere cosa fosse successo. Aronne rimase al bar, seduto al tavolino in preda a una delle sue assenze che, per ragioni misteriose, si erano fatte più frequenti nelle ultime settimane.
Dopo un giro intorno alla casa - Theo era molto riservato e nessuno era stato mai invitato a varcare il cancelletto di legno, dipinto di verde all’uso olandese - gli amici dovettero constatare che tutte le luci erano spente e che l’unico movimento era quello dei tulipani che ondeggiavano nella brezza serale. Suonarono il campanello, poi chiamarono a gran voce, ma senza alcun risultato. Pensando a un malore, telefonarono ai carabinieri che avevano la caserma nel paese vicino.
I militari arrivarono sulla loro campagnola dopo una mezz’ora. Constatato che l'automobile era parcheggiata vicino al cancello, non ci misero molto a scoprire dei segni d'effrazione alla porta, che risultò solo accostata e non chiusa. Nella casa trovarono il deserto, ma in breve i militari scoprirono in un angolo del giardino un piccolo capanno per gli attrezzi.
All'interno, il corpo di Theo van Brulen giaceva con le mani legate dietro la schiena, i capelli imbrattati di sangue, la testa devastata da un colpo di pistola alla nuca. L’espressione degli occhi spalancati sembrava più di odio che di paura.
Un fatto del genere non era mai accaduto nel paese, e naturalmente tenne banco per settimane, dando la stura a dicerie e fantasie le più bizzarre.
Il mistero di quel delitto feroce e senza un movente - nulla era stato rubato, nessuno in paese aveva mai avuto un accenno di screzio con quell'uomo gentile e riservato - aveva anche destato l’interesse dei media nazionali, che per giorni avevano invaso il paese coi loro inviati. Facevano domande e procuravano un’effimera celebrità a molti paesani che si lasciavano intervistare volentieri, dando dignità di notizia anche a semplici illazioni.
Ad esempio, Riccardo il postino sussurrava che sul luogo del delitto non si era trovata alcuna traccia utile, come il bossolo dell’unico proiettile sparato, o impronte di mani o di piedi, ma forse c’era qualcosa lasciato a bella posta dall’assassino; ma nemmeno l’informatissimo Riccardo fu in grado di dire di cosa si trattasse.
Si diceva pure che nella zona fossero stati notati alcuni stranieri sospetti. Sembravano turisti di passaggio e si comportavano come tali, ma nessuno li aveva più visti dal giorno dell’esecuzione – che tale oramai appariva a tutti – del mago dei tulipani.
Qualcuno si ricordò di altri stranieri dallo stesso accento indefinibile che mesi prima avevano fatto la comparsa in paese, chiedendo molte informazioni, alcune banali, ma altre attinenti al proprietario di quel bel giardino fiorito in fondo al paese.
Infine una signora dichiarò che le sembrava di aver notato nell’auto di quegli stessi stranieri una persona del posto, per l'esattezza Fabrizio Modena, ma non avrebbe potuto giurarlo, era già sera.
Nessuno però poté intervistare o interrogare il vecchio Aronne.
Era stato ricoverato all’ospedale del capoluogo, dopo che non era più tornato dall’ultimo viaggio nel suo passato. Riccardo e Beppe l’avevano trovato ancora seduto al tavolo del bar, quando erano tornati per dare la notizia del delitto. Aronne se ne stava come impietrito, lo sguardo vuoto, uno strano sorriso triste sul volto emaciato. Qualcuno notò che la sua mano destra era stretta sul braccio sinistro, in alto, e solo con una gentile fermezza riuscirono a fargliela aprire.
Ma nessuno riuscì a riportarlo indietro, come nessuno trovò mai traccia dei fantomatici stranieri con i quali sembrava fosse stato visto.
Oramai tutti si aspettavano che il delitto sarebbe andato ad allungare la lista delle centinaia di casi insoluti e delle morti senza un perché, visto che dai carabinieri e dalla magistratura non arrivava alcuna notizia. C’era anzi un riserbo strano, quasi imbarazzato.
Finalmente, dopo molti giorni, un giornale nazionale ebbe la notizia ghiotta, filtrata chissà come tra le maglie del segreto istruttorio. Un vero colpo giornalistico che, inatteso e sorprendente, riuscì a trovare la via della prima pagina.
Era la conferma che era stato fatto un ritrovamento interessante accanto al cadavere del mago dei tulipani.
Si trattava di una cartella contenente vecchi documenti relativi a un ufficiale tedesco di nome Karl Housemann. Nella cartella, tra le altre cose, c’era anche una vecchia fotografia, la stessa che campeggiava sulla prima pagina del giornale, in alto a destra, appena sotto la notizia politica d’apertura.
Nell’immagine sbiadita, un tenente delle SS puntava la Luger alla nuca di un uomo con un numero e la stella di David tatuati sul braccio sinistro. Vicino a lui, altri internati erano schierati immobili nelle loro divise a righe. Il volto dell’ufficiale pareva proprio quello di un giovane Theo van Brulen, mentre tra gli internati in secondo piano qualcuno ritenne di riconoscere il profilo affilato di Aronne.
Ma un particolare appariva ancora più sinistro: sullo sfondo dei reticolati, vicino a una torretta sopra la quale una sentinella brandiva una mitragliatrice, si poteva distinguere un piccolo, ordinatissimo giardino di tulipani.
Правосудие должно было свершиться раньше. Конечно же лучше поздно, чем никогда, но...
А рассказ великолепен в Вашем переводе.
Спасибо